Dopo la parentesi militante-reportage di HIDDEN AGENDA, Loach torna a dipingere la gente comune; sospinto anche dall'esperienza di Bille Jesse, lo sceneggiatore del film scomparso durante le riprese, che aveva lavorato a lungo nei cantieri edili. Come quasi tutti gli attori.

Jerzij Skolimovski in MOONLIGHTING aveva già trattato il tema, particolarmente acuto in Gran Bretagna, del lavoro in nero. Ma ciò che rende qui indimenticabile RIFF-RAFF è il tono quasi scanzonato, impregnato della parlata dei lavoratori che sono scozzesi, irlandesi, gallesi, ma anche africani, ex trotskisti e hippies: nella quale il dramma, persino la morte, si esprimono con infinita sensibilità. Proprio grazie all'autenticità quasi documentaristica della visione (gli uffici della produzione erano installati addirittura nelle baracche del cantiere... ): ma anche a quell'arte del quotidiano, in tutta la sua relativizzazione, che fa dire a Loach le cose più tremende (la droga, la fame, la morte, l'ingiustizia) con quel tono terribilmente tranquillo.

Non contenti di costruire una cornice squisitamente autentica, non contenti di dissacrarla in modo tragicomico con inimitabile grazie ed efficacia, Jesse e Loach riescono ad inserire una storia, e due personaggi come quelli di KES o di FAMILY LIFE: Stevie, appena uscito dalla prigione per ritrovarsi in quella del lavoro nero, e Susan, una cantante che certamente farà fatica a farsi larghi fra le audizioni e le orchestrine dei pub. Una storia d'amore tenera, che ha la stessa fragilità di quella di tutti i personaggi, lavoratori dalla scorza ispessita e dall'interiorità per sempre ferita, di un sistema contro le aberrazioni del quale gli autori cercano di lottare con l'arma altrettanto fragile e delicata dell'humour, dell'intelligenza in difesa di quel nemico subdolo e terribile chiamato disperazione.